giovedì 26 gennaio 2012

L'identità del marchio si costruisce anche col museo di GIAMPAOLO FABRIS


Prodotti e brand non sono sfruttati come potrebbero per comunicare l’immagine e il valore d’impresa

La settimana della cultura d'impresa promossa da Confindustria, e in corso in questi giorni in tutto il
Paese, dedica un meritevole spazio ai musei aziendali. E' un buon segnale: perché il museo può divenire un corretto benchmark di quel marketing esperienziale di cui tanto si parla, e si teorizza, e che si risolve invece più spesso in una gratuita spettacolarizzazione. Che poco ha a che fare con ciò che si produce e vende. Soprattutto il museo potrebbe essere in grado di valorizzare un vero tesoro rappresentato dalla storia e l'heritage culturale di piccole e grandi industrie presenti con così tanta dovizia lungo tutto il territorio. Con forti ricadute anche sul presente.
Il condizionale, però, in questo caso è d'obbligo. Perché la prassi, nelle pur encomiabili iniziative in questa direzione, è la realizzazione di musei freddi, afoni, autoreferenziali, francamente noiosi.
Più una narcisistica o autocelebrativa esposizione di materiale o prodotti - che pure dovrebbero narrare di passati straordinari, costruiti col sudore' l'intelligenza, l'intraprendenza di generazioni di uomini e donne, attestare tangibilmente l'evoluzione delle tecnologie, dei modi di produzione, dei mercati, della quotidianità - che un nuovo medium di grande appeal, capace di suscitare forti emozioni. Si assiste, il più delle volte, ad una successione di macchinari, prodotti, documenti poco leggibili, brani di archivio intervallati da rare didascalie in location non particolarmente attrattive.
Il museo, in realtà, è una efficacissima piattaforma per comunicare storia, passioni, mission, vision, sistemi di valori. Una storia calda e suggestiva, assolutamente unica, della nascita e dell'evolvere di una marca. Il museo aziendale oggi deve essere simile ad un ipertesto: con un forte ricorso alla multimedialità, in grado di creare committment ed empatia, fortemente interattivo. Una sorta di parco a tema - anche un po' kitch, certamente spettacolare - della marca e/o di un settore merceologico. Da cui il visitatore esce con un livello di conoscenze, di consapevolezzasullamarcache nessuna campagna pubblicitaria riuscirà mai a creare: anche se la presenza della evoluzione della pubblicità sarà uno dei tanti modi per narrare come si realizza il mondo fantastico della marca. Un museo siffatto è rara avis, ma ce ne sono. Un museo così concepito narra di un'azienda che ha un passato alle spalle, una lunga storia costruita su continui attestati di fiducia da parte del consumatore, conoscenze e realtà che non si improvvisano: è la fonte più autentica, in un periodo in cui l'autenticità sta divenendo un valore, del backstage, della storia di una marca. Nella transizione dal primato dell'immagine a quello della reputazione il museo costituisce un medium di grande importanza. Naturalmente da reclamizzare adeguatamente, creando appropriate strutture di accoglienza, eventuali guide anche se dovrebbe essere fortemente autoesplicativo.
Creando così quell'effettiva esperienza che costituisce oggi un driver all'acquisto: dove la trasparenza (anche reale, come il museo di vetro e cristallo di VW a Wolfsburg), la veridicità, l'unicità non hanno niente da spartire con la simulazione. Vi sono inoltre musei aziendali - per tutu' quello straordinario di André Heller per Svarovsky in Austria - che hanno importanti ricadute sul territorio facendolo divenire un centro di attrazione turistica.
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